MIRA
DATAR, UNAWA, GUJARAT
Hazrat
Syed Ali di Mira, nacque il 4 agosto 1426; uomo pio con il volto scintillante
ed illuminato dalla sua spiritualità,
aiutava il suo prossimo nelle difficoltà
e risolveva qualsiasi problema con il potere spirituale del suo parlare.
Il
significato del suo nome:
Syed
- cognome, Ali nome , Mira - coraggioso, Datar - Colui che si dona al suo
devoto e si dona a tutti senza distinzione di casta, colore e religione.
Syed
Ali verrà prevalentemente
chiamato appunto Mira Datar; uomo coraggioso che si dona agli altri
indistintamente.
LA LEGGENDA
Si
narra che in un luogo chiamato Mandavgad (in Madhya Pradesh, nel distretto di Dhar) governava Re Mehandiraj; uomo
crudele, tiranno e anti religioso, voleva che la gente del suo regno lo
venerasse come un Dio, dal momento che lui si sentiva un Dio e per questo
uccise molte persone come sacrificio al Diavolo affinché diventasse un Dio, ma un Dio seguace del Diavolo.
Un
Saggio di questo sfortunato luogo un giorno riuscì a fuggire e, raggiunta la corte del Re Lodhi, figlio del
Re Ahmed Shah fondatore di Ahmedabad, gli raccontò la sfortunata vita degli abitanti di Mandavgad e chiese
aiuto. Subito Re Lodhi iniziò una guerra contro
Re Mehandiraj, ma nonostante la potenza del
grande esercito di Re Lodhi, non si riuscii ad avere la meglio su Re Mehandiraj
e la guerra durò molti anni; Re Lodhi vinse molte battaglie, ma Re
Mehandiraj , aiutato dal Diavolo, resisteva.
Una
sera Re Lodhi prego' Allah Ta’ala e, in sogno,
questi gli apparve.
Allah
Ta’ala gli predisse che
avrebbe vinto la guerra solo con l'aiuto di Mira Datar e suo nipote Syed
Illmuddin, solo in loro c'era la forza per vincere il Diavolo.
In
quei giorni Syed Illmuddin si stava sposando e, saputo quanto stava accadendo a
Mandavgad, Mira Datar decise di partire immediatamente, senza il nipote, per
aiutare Re Lodhi.
Lungo
il percorso i soldati si fermarono per riposare in un luogo chiamato Unawa; Mira Datar disse che era un
bel posto e che se fosse morto avrebbe voluto essere seppellito ad Unawa.
Arrivò ad Mandavgad e subito cominciò la battaglia. Mira Datar si trovò di fronte Re Mehandiraj, e questi, riconoscendo la potenza
della bontà di Mira Datar, si
rifugiò in una grotta; Mira
Datar lo segui e lo trovò, Re Mehandiraj
sentendosi braccato si consegnò a Mira Datar ma con
un gesto veloce prese la spada e decapitò
Mira Datar.
Il
corpo senza vita di Mira Datar, grazie al potere datogli dalla divinità, si rivoltò a sua volta e con la spada
uccise il Re Mehandiraj tagliandogli i lunghi capelli, luogo dove risiedeva il
potere del Demonio.
Subito
il corpo di Syed Ali Mira Datar si trasformò in un letto di fiori.
Sulla
via del ritorno i soldati di Mira Datar passarono per Unawa e il cavallo che
trasportava il corpo si fermò e non si mosse di un
passo; tutti capirono che Syed Ali Mira Datar, vincitore sul Diavolo, doveva
essere seppellito ad Unawa.
Ed
è qui che le persone
possedute dal Diavolo vengono per farsi esorcizzare, perché i discendenti di Syed Ali Mira Datar sono ancora qui e,
guardando negli occhi, riconoscono le persone che hanno dentro di se il Demonio.
Gli occhi del Diavolo
Entro nella Moschea di Unawa in Gujarat, tanta gente che
aspetta, tanti Moallim seduti davanti ai loro armadietti, ma di tutti, due
hanno una folla di fedeli che aspettano di essere ascoltati; sono i fratelli
Jahangir Ali e Musirali Hai Riyazmiya; anche il loro padre é un Moallim, tutti
diretti discendenti di Syed Ali Mira Datar. Loro hanno il potere di
riconoscere, guardando negli occhi, se chi gli sta davanti è posseduto dal
Diavolo.
Stamattina no; stamattina per fortuna nessun indemoniato; elargiscono, oltre che le loro cantilenanti preghiere, consigli per uscire da
questa e quella malattia, una sorta di dottore; ma tutt'intorno
gente "posseduta dal Diavolo", uomini immobili con lo sguardo perso
nel vuoto, incatenati, tutti con accanto chi una figlia, una moglie, un parente
che gli ricordi i minimi gesti per poter restare in vita: bere, mangiare un
boccone di prasad, cibo benedetto, una carezza.
Una ragazzina, che potrebbe avere 12-13 anni, si avvicina e mi
chiede di fare una foto con il padre che sta accudendo; lui, lo sguardo nel
nulla, il suo viso una maschera senza espressione, pietra dura; lei, una
speranza negli occhi, che suo padre possa ritornare il padre che era.Ma sono
in questa sorta di piazza già da tempo, si capisce dai segni lasciati dalla
catena alla caviglia del malato, e non è successo ancora niente.
Una madre invece no, mi chiede di non fotografare la figlia, il
Diavolo potrebbe rimanere impresso nella foto e non lasciare mai più il corpo
di Amita; è una donna colta la mamma di Amita, un’insegnante di Mumbai, parla
benissimo l’inglese, spera di riportare a casa la figlia guarita, ma è da tanto
tempo che è qui.
Si sente gridare, hanno portato dei posseduti alla fonte, e qui
si sfogano urlando frasi sconnesse, si tuffano in un acqua e danno sfogo alla
loro rabbia.
Si avvicina un marito e mi dice "è mia moglie, si è
ammalata improvvisamente, l'amo tanto e voglio che guarisca, solo qui mi
possono aiutare".
Capisco che hanno esaurito tutte le speranze e, che questa è
l’ultima possibilità.
Arriva il tardo pomeriggio ed i posseduti vanno verso il
Cimitero dove è custodita la salma di Mira Datar; all’esterno ci sono donne in
trance che si agitano lungo il muro perimetrale, entro e, fra le urla, vedo una
ragazza che correndo, si lancia in una capriola, il suo corpo cade a terra con
un sonoro tonfo, si rialza ed inveisce contro di me, si gira e ricomincia,
altra capriola, altro tonfo e così di seguito senza un’apparente fine. Il Padre
della ragazza, affettuosamente in silenzio, la guarda.
Altre urla, mi giro e vedo un gruppo di donne accasciate a terra
che battono la testa contro il pavimento, gridando la loro rabbia con chi le
possiede, nel loro volto solo stanchezza e negli occhi un grande smarrimento.
I parenti tutt’intorno in silenzio e con un senso di vergogna
seguono i loro movimenti
tentando di proteggerle dalle lesioni che si potrebbero
procurare.
Una folla si accalca intorno ad un braciere dove dell’incenso
fuma, tutt’intorno inalano il fumo nella convinzione che inspirato in
profondità possa eliminare gli spiriti maligni..
Torno verso la Moschea, salgo una piccola scala che conduce su
una terrazza all’aperto dove altri pellegrini girano introno ad una cupola
chiamata Dadi Amma, ed è qui che le persone possedute devono strisciare sette
volte attorno alla cupola per liberarsi dal maligno.
Rivedo la madre di Amita, vuole che le accarezzi la figlia, lo
faccio, l’ho resa felice.
E’ il momento della preghiera ... Gian Marco Agazzi
Il link al libro fotografico di Gian Marco: http://www.blurb.com/b/4333188-posseduti